La finale di Coppa Italia è stato il pessimo esito di una stagione disastrosa e ha mostrato tutto il peggio del Diavolo. La chiave? È nella riorganizzazione societaria

C’è una squadra in maglia bianca che vince le finali ma non è il Milan di Berlusconi. Il Milan di Berlusconi non c’è più e questa è una plastica rappresentazione: i giocatori con le braccia sui fianchi che aspettano la premiazione. Aspettano che il Bologna abbia finito di festeggiare. La finale di Coppa Italia è stato il pessimo esito di una pessima stagione. Disastrosa sotto il piano dei risultati e, forse ancora di più, delle sensazioni date al mondo sulla capacità di essere un club forte, di essere Milan. Ottavo posto in campionato, fuori ai playoff di Champions, poi questa finale persa. La Supercoppa vinta a gennaio, in un quadro così, conta quasi zero. Il Milan per giocare l’Europa nella prossima stagione dovrà vincere le ultime due partite. Probabilmente così arriverebbe a una triste qualificazione in Conference, che molti tifosi preferirebbero non giocare per concentrarsi sul campionato con Antonio Conte in panchina, come ha fatto il Napoli in questi nove mesi. C’è un problema: Antonio Conte non allenerà il Milan.

gli errori della finale
—La finale ha mostrato tutto il peggio del Milan, che pure nell’ultimo mese aveva trovato un senso al suo modo di vivere e stare in campo. Nel momento importante, addio: Milan scomparso. Ha calciato in porta solo due volte, per davvero solo con Jovic, che però in quell’occasione avrebbe dovuto fare meglio. Non ha avuto niente da Reijnders e Pulisic, i migliori giocatori della stagione, e poco da Leao, che ha cominciato bene e poi è sparito. Ha cambiato tre centravanti – Jovic, poi Gimenez, poi Abraham – senza mai trovare un modo per far calciare qualcuno in porta. La curva ha cantato con meno convinzione di altre volte e se ne è andata presto, anche se non serviva l’ultima scena per capire che da tempo ha preso le distanze da questo Milan, da Furlani e Ibrahimovic delusi in tribuna con Moncada. Chissà se Gerry Cardinale avrà visto tutto questo, da New York, Londra o altra dimora nel mondo.
singoli, mai squadra
—Il Milan è arrivato qui con una parabola vagabonda iniziata in agosto: una volta bene, una volta così così, una volta male. L’immagine di copertina resterà probabilmente il cooling break di Theo e Leao, simbolico di un club senza regole chiare. Paradossalmente, il Milan aveva trovato un minimo di continuità solo recentemente, in un modo comunque non convincente perché un percorso non si vede, una squadra in formazione nemmeno. Si vedono come sempre solo alcune chiare individualità, alcuni giocatori di valore internazionale (Reijnders e Pulisic sempre, Fofana insomma, Theo e Leao solo quando sono in giornata) ma mai un gruppo che vale più della somma di undici singoli.
conceiçao e il mercato
—Il fallimento della missione per Conceiçao, che pure è meno colpevole di tanti altri, è qui: ha migliorato la fase difensiva ma il Milan attacca peggio che in autunno e non è mai una squadra dominante. Sergio lascerà, a meno di giravolte che non sembrano affatto possibili, e con lui se ne andranno altri. Joao Felix, rinforzo sbagliato di gennaio: non ha mai dato una mano, tranne che nella prima sera contro la Roma. Quasi sicuramente Kyle Walker, con cui non è nato un amore. Molto probabilmente almeno uno tra Theo e Maignan, che di questa squadra dovrebbero essere leader e quindi hanno più responsabilità di altri. Uno tra Thiaw e Tomori, perché dietro serve un nuovo titolare e Malick, nell’ultimo mese, non ha giocato mai. Su Rafa Leao chissà, decideranno le offerte – al momento non pervenute – e i tanti imprevisti del mercato.
furlani, tare e il ds
—La chiave però non è qui. La chiave è nella riorganizzazione societaria, perché il Milan non funziona e Giorgio Furlani come a.d. deve trovare una soluzione, in prima persona come ha fatto finora o con Zlatan Ibrahimovic. C’è lui al centro della luce ora. Deciderà di cambiare i processi decisionali, gestire in altro modo lo spogliatoio, fare scelte dure e magari impopolari? Per ora, non si capisce. Servirebbe investire ma soprattutto ridare al Milan una mentalità vincente, di squadra che vince le finali contro Juventus e Liverpool, non le perde – con tutto il rispetto – contro il Bologna. La logica direbbe di cominciare da un direttore sportivo ma la scelta logica – Igli Tare, presente all’Olimpico – è stata convocata per un colloquio dal proprietario, poi dall’amministratore delegato e mai richiamata. E allora, il Milan aspetta, aspetta ancora, senza capire bene quanto tempo ci vorrà.

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